Night Chant

Per Mezzosoprano, viola e pianoforte (2018)

Commission of Musica Insieme Bologna

Prima esecuzione: Bologna, Teatro Manzoni Interpreti: Cristina Zavalloni, Danusha Waskiewicz, Andrea Rebaudengo

Il “Night Chant” è una cerimonia magica. Più esattamente è una cerimonia dei nativi americani Navajo (popolazione che nella loro lingua si autodefinisce “Diné”), nella cui visione del mondo c’è una parola che ha un ruolo centrale: la parola “hózhó”. Possiamo tradurla come “bellezza”, o “condizione di bellezza”, ma questo termine esprime in realtà anche la nozione di ordine, la felicità, la condizione fisica di salute, la concezione morale di bene, la dimensione estetica di ordine e di equilibrio. Per riportare l’ordine di un universo che è stato anche definito come una sorta di “concerto cosmico”, i Diné celebrano una volta all’anno un rituale notturno di nove notti e otto giorni, chiamato KiejeHatal (“Canto della notte”), in cui la comunità chiamata a cantare per curare i malati, far produrre il polline, ristabilire l’hózhó.

Nel Night Chant è stata usata una parte del testo del Canto della Notte, mentre la musica è una sorta di canto magico. L’inizio è notturno e rarefatto, luce di stelle, polvere, deserto, dalla quale si leva solitaria l’invocazione cantilenante degli spiriti elementari delle cose. Lentamente la musica cresce fino a trasformarsi in una specie di meccanismo.

Dopo il climax, al posto del sorgere del sole che rivela la bellezza del mondo circostante, sentiamo nel canto una nota di follia: l’universo non si rimette più in ordine, l’hózhó si è come inceppato. Lo sciamano è da solo, la comunità, per la quale la sua esistenza era necessaria, si è dissolta, il mondo in cui vive è malato. Nel finale si odono le parole che chiudono l’invocazione: “possa essere le Bellezza davanti a me, possa essere le Bellezza sopra di me, possa essere la Bellezza intorno a me, nella Bellezza tutto si compie”, trasfigurate in una stralunata e malinconica barcarola.